LA BATTAGLIA DI TAGLIACOZZO del 23 agosto 1268

LA BATTAGLIA DI TAGLIACOZZO DEL 23 AGOSTO 1268

 

di Giorgio Giannini

 

Nel 1215, dopo la morte dell’Imperatore del Sacro Romano Impero Enrico V,  inizia la lotta per la sua successione tra le casate degli Hoenstaufen di Svevia e quelle di Baviera e di Sassonia.

I sostenitori dei primi sono chiamati “ghibellini” (dal castello svevo di Waiblingen) mentre quelli dei secondi, sostenuti dal Pontefice, sono chiamati “guelfi”. La guerra tra le due fazioni coinvolge subito anche l’Italia.   

Nel marzo 1263 il Papa Urbano IV (di origine francese) scomunica  il Re di Sicilia Manfredi di Svevia (figlio illegittimo del grande Imperatore Federico II e di Bianca Lancia e reggente del Regno per il nipote Corradino)  ed offre il trono a Carlo d’Angiò, fratello del Re di Francia Luigi IX, detto “il Santo”.

Nel 1264 muore  Urbano IV ed il nuovo Papa Clemente IV (anche lui di origine francese) chiama di nuovo in Italia Carlo per contrastare i ghibellini filo svevi, il quale viene a Roma nel dicembre 1265 ed il giorno dell’epifania del 1266 è investito come Re di Sicilia da ben cinque Cardinali nella basilica di San Pietro.

Il 12 febbraio 1266 Carlo sconfigge a Benevento (in verità vicino al fiume Calore)  le truppe di Manfredi che muore in battaglia. Così conquista effettivamente il Regno di Sicilia, di cui sposta la capitale da Palermo a Napoli (per questo motivo, il Regno  diventa Regno di Napoli). 

Carlo confisca i beni dei feudatari meridionali che hanno parteggiato per Manfredi ed insedia nei loro feudi dei nobili francesi, soprattutto provenzali, suoi amici. Pertanto i precedenti feudatari filo svevi chiedono insistentemente l’intervento del giovanissimo Corradino Hohenstaufen, figlio di Corrado IV (figlio di Federico II) e di Elisabetta di Wittelsbach, che era  nato  il 25 marzo 1252 e viveva a Costanza, nel castello di Waiblingen, ospite dello zio materno Ludovico di Baviera, e che era il legittimo erede al trono del Regno di Sicilia. 

Nella primavera 1268 Corradino, che ha appena compito 16 anni, accetta di venire in Italia, per riprendere il trono. All’inizio di luglio costituisce ad Ausburg (Augusta), il capoluogo della Svevia, un esercito di circa 5.000 tra cavalieri e fanti e scende in Italia, passando dal Brennero. Arriva il 24 luglio a Roma, dove è accolto  dal Senatore (Governatore della città) Enrico di Castiglia, cugino di Carlo d’Angiò, ma suo acerrimo nemico, il quale promette a Corradino di dargli un contingente di circa 300 militi mercenari. Il 18 agosto Corradino lascia Roma con il suo esercito percorrendo la Via Tiburtina-Valeria per recarsi in Abruzzo, dove si era stanziato dal 4 agosto Carlo, dopo aver lasciato in Puglia, dove stava assediando Lucera, abitata da dai Saraceni (fatti insediare da Federico II), che si erano ribellati.

Arrivato a Carsoli, probabilmente la sera del 19 agosto, Corradino, invece di proseguire lungo la Tiburtina-Valeria per arrivare attraverso il passo appenninico di Colli di Monte Bove (a circa 1.200 metri) a Tagliacozzo (sede della omonima Contea, costituita da pochi anni, inglobando quella di Albe, che era una delle tre Contee create verso il 1150 dai Normanni con la divisione della Contea della Marsica, di origine carolingia, insieme a Celano e Carsoli), devia a sinistra, su indicazione dei suoi consiglieri militari, e percorrendo la valle del fiume Turano arriva a Castel di Tora e poi valica le montagne preappenniniche nella zona di Varco Sabino, nel Cicolano, per discendere nella valle del fiume Salto e quindi prosegue in direzione dell’odierno paese di Magliano dei Marsi e dei Piani Palentini, dove arriva  la sera del 22 agosto, ponendo l’accampamento alla falde del Monte Carce, a pochi km di distanza da quello di Carlo d’Angiò, che stava  più in alto, nella zona tra l’attuale abitato di Forme e quello di Albe, dove era arrivato il tardo pomeriggio del 22 agosto.  Carlo era arrivato dalla Puglia  nella zona dell’attuale Cappelle dei Marsi  il 4 agosto ed aveva mandato informatori per accertare i movimenti dell’esercito imperiale-svevo ed aveva anche modo di “studiare il terreno” e di capire quale era il posto migliore per la battaglia. La sera del 20 agosto aveva deciso di andare a L’Aquila (fondata nel 1254 in funzione anti feudale, e quindi distrutta da Manfredi, ma ricostituita come libero Comune da Carlo d’Angiò) attraverso l’altopiano delle Rocche, per verificare se la città parteggiava per lui temendo di essere attaccato alle spalle. Avendo avuto rassicurazioni che la città era di parte guelfa, Carlo ritorna verso i Piani Palentini, dove arriva il 22 agosto.

Gli storici hanno cercato di capire perché Corradino invece di proseguire da Carsoli a Tagliacozzo lungo la Via Tiburtina-Valeria abbia fatto una lunga deviazione verso il Cicolano e la Valle del Salto. La spiegazione più semplice sembra essere quella che egli temeva di incontrare l’esercito francese mentre saliva per il passo di Monte Bove e quindi si trovava in condizione di inferiorità tattica. Rimane però da chiarire perché seguì la Valle del Turano quando avrebbe potuto più facilmente raggiungere la Valle del Salto passando nella zona dell’attuale paese di Pescorocchiano.

Nei Piani Palentini, la posizione più elevata favoriva l’esercito francese, anche se aveva meno soldati (circa 4.000), nei confronti di quello imperiale-svevo. Le sorti della battaglia però sono decise a favore dei Francesi da un abile stratagemma, deciso dall’anziano cavaliere Aléard (Aleardo) de Valéry, consigliere militare di Carlo d’Angiò, che era tornato da poco da una Crociata in Terrasanta. Infatti Aleardo  propone a Carlo di tenere “nascosta” una parte della cavalleria per farla intervenire nella battaglia al momento più adatto. 

La mattina del 23 agosto 1268 i due eserciti si scontrano vicino ad un “ponte di legno”, la cui ubicazione ha impegnato per molti decenni gli storici contemporanei. Però, nel 1968, in occasione di un Convegno organizzato dal Comune di Tagliacozzo per il settimo centenario della battaglia, lo storico tedesco Peter Hende presenta una relazione, frutto non solo di uno studio approfondito dei documenti storici esistenti (come avevano fatto tutti gli storici prima di lui) ma soprattutto di una lunga “indagine sul campo” per studiare il territorio e cercare di capire quale era stato il luogo della battaglia. Pertanto, nella sua relazione Hende afferma che la battaglia si svolse non vicino ad un ponte sul fiume Salto della Tiburtina-Valeria, perché i romani costruivano sempre in muratura i ponti sulle Strade Consolari. Il corso d’acqua quindi non poteva essere il Salto ma il torrente Riale, che nasceva dal Monte Velino e che scorreva tra gli attuali paesi di Forme e di Massa d’Albe, ma che da molti decenni non portava più acqua, tanto che non era più segnato sulle carte geografiche. Però erano ancora visibili alcuni tratti dell’alveo, mentre in altre parti l’alveo era stato interrato dai contadini per ricavarne terreno da coltivare.

Nella prima fase della battaglia l’esercito imperiale-svevo ha la meglio sui Francesi, che  si ritirano. Allora i soldati di Corradino vanno a saccheggiare l’accampamento dei Francesi che ritornano indietro, con la parte di cavalleria che era rimasta nascosta, e sbaragliano gli Svevi, che sono colti “alla sprovvista” e soprattutto non sono più “in  formazione” di combattimento, avendo pensato di aver vinto la battaglia.

Corradino riesce a fuggire con un parte del suo esercito e si ritira a Roma, dove però non è ben accolto. Andato a Nettuno per partire via mare (probabilmente per raggiungere Pisa, città ghibellina) è tradito da Giovanni Frangipane, feudatario della zona, che lo fa cattura e lo consegna a Carlo d’Angiò, a Napoli, dove è condannato a morte e decapitato nella Piazza del mercato il 29 novembre 1268. In questo modo, con la morte dell’ultimo legittimo pretendente al trono del Regno di Sicilia, finisce la dinastia degli Svevi ed inizia quella degli Angioini.

Gli storico hanno cercato di capire perché non si è trovata nella zona dei Piani Palentini il luogo della sepoltura delle migliaia di soldati morti nella battaglia. Probabilmente la spiegazione più semplice è che, essendo piena estate, i cadaveri sono stati bruciati per evitare epidemie.

Nei Piani Palentini, vicino all’attuale Scurcola Marsicana, Carlo d’Angiò fa costruire, tra il 1274 ed il 1282, l’abbazia di S. Maria della Vittoria, per ringraziare la Vergine della vittoria su Corradino, affidandola ai frati Certosini, che introducono nella Marsica metodi moderni di coltivazione, favorendone lo sviluppo anche commerciale.

La battaglia di Tagliacozzo è citata da Dante nei versi 17-18 del canto XXVIII dell’Inferno con le seguenti parole «e là da Tagliacozzo \ dove senz’armi vinse il vecchio Alardo», con un chiaro riferimento allo stratagemma adottato da Aléard de Valéry,  che fa vincere i Francesi “senza combattere”, sfruttando sicuramente l’esperienza acquisita in Terrasanta, combattendo contro i Saraceni, che facevano spesso “imboscate” ai cavalieri Crociati. 

Dante considera poco “cavalleresco” questo comportamento dei Francesi in quanto fino a quel tempo le battaglie si combattevano senza ricorrere ad inganni o tranelli.   Pertanto, per lui, il comportamento dei Francesi era stato al limite del disonore. Questo severo giudizio espresso da Dante gli fa molto onore perché egli aveva parteggiato per i “guelfi” a Firenze, ma era stato molto colpito, negativamente, dalle tragiche conseguenze che la guerra con i “ghibellini” aveva comportato, non solo per la sua città.

 

Author: redazione