La dura repressione pontificia dei moti di Perugia del giugno 1859  

LA DURA REPRESSIONE  PONTIFICIA DEI MOTI DI PERUGIA DEL GIUGNO 1859

 

di Giorgio Giannini

 

nel giugno 1859 scoppia la Seconda guerra di Indipendenza…

Circa 800 giovani  umbri (in  gran perugini)  si arruolano come “volontari” nell’esercito  sabaudo di Vittorio Emanuele II. per combattere contro gli Austriaci.

A Perugia si costituisce un Comitato insurrezionale, collegato con i centri di Firenze e di Bologna della Società Nazionale, che il 14 giugno 1859 chiede a Monsignor Luigi Giordani, rappresentante pontificio in Umbria, che il Governo di Pio IX  abbandoni la posizione di neutralità nel conflitto e dichiari guerra all’Austria. Poiché Monsignor Giordani rifiuta di collaborare,  il Comitato  lo caccia da Perugia, dove si insedia un Governo provvisorio, che offre la “dittatura” a Vittorio Emanuele II, e che istituisce un Comitato per la difesa della città affiancato da un Comando militare.

Il Segretario di Stato pontificio, il Cardinale Giacomo Antonelli, informato lo stesso 14 giugno  dell’accaduto,  comunica a Monsignor Giordani, che è andato a Foligno,  di “impedire insieme alla truppa ogni disordine, chiamando anche ove occorra qualche compagnia da Spoleto” in attesa dei rinforzi pontifici e forse anche di un contingente militare francese.  Infatti il Governo pontificio è deciso a  reprimere subito l’insurrezione di Perugia  prima che si estenda  a tutto lo Stato.

Però il generale De Goyon, comandante del Corpo di occupazione francese (presente nello Stato pontificio da quando ha abbattuto la Repubblica Romana del 1849)  rifiuta di mandare i suoi soldati a reprimere l’insurrezione perugina.

Pertanto è inviato in Umbria il 1° Reggimento  svizzero, forte di circa 1.700 uomini, al comando del colonnello Antonio Schmidt d’Altorf, che arriva a Foligno  il 19 giugno e decide, insieme a Monsignor Giordani ed al Consigliere di Stato Luigi Lattanzi, di  andare subito a Perugia, anche con qualche centinaio di truppe locali, per impedire  in città l’arrivo di aiuti, soprattutto in  armamenti, dalla Toscana.

Il Governo provvisorio istituito a Perugia rivolge un appello alla popolazione per difendere la città, che è accolto da un migliaio di cittadini.

Il 20 giugno le truppe pontificie, ammontanti a circa 2.000 militari, arrivano a Perugia, che è difesa da un migliaio di  volontari, male armati e poco organizzati.

Lo scontro avviene subito, nella zona di Porta San Pietro, e le truppe pontificie  prevalgono rapidamente sui perugini, che si sbandano.

I soldati pontifici riescono ad entrare in città (grazie anche al tradimento di un certo Patumella), ed iniziano a saccheggiare ed a uccidere a sangue freddo una ventina civili inermi, anche donne e bambini.  L’abate di San Pietro, Placido Acquacotta, nasconde ed aiuta a fuggire numerosi civili.

Alla fine della giornata, come riporta Pasquale Villari nella sua Storia generale d’Italia, edita da Vallardi Editore, di Milano, nel 1881, vengono saccheggiati numerosi edifici: il monastero di San Pietro, due Chiese, un ospedale, un orfanotrofio femminile (nel quale subiscono violenza due orfane) e 30 case. Subisce violenza anche la famiglia statunitense Perkins, che è alloggiata in un albergo cittadino.

Ai 10 soldati papalini morti durante gli scontri sono tributati solenni funerali nel duomo cittadino, presieduti dal Vescovo Luigi Pecci (nel 1878 diventato Papa Leone XIII).  

Poiché la famiglia Perkins è stata vittima delle violenze dei soldati papalini, l’ambasciatore degli Stati Uniti presso lo Stato pontificio Stockton invia una relazione dettagliata al proprio  Governo, nella quale descrive le atrocità commesse dai soldati svizzeri, con queste parole:«Una soldatesca brutale e mercenaria su sguinzagliata contro gli abitanti che non facevano resistenza…persone inermi e  indifese, senza riguardo a età o sesso, furono, violando l’uso delle nazioni civili,  fucilate a sangue freddo».

Il 25 giugno anche il quotidiano New York Times pubblica un articolo nel quale si afferma: «Le truppe infuriate parevano aver  ripudiato ogni legge e irrompevano  a volontà in tutte le case, commettendo omicidi scioccanti e altre barbarità sugli ospiti  indifesi, uomini, donne  e bambini».

Grazie al coinvolgimento della  famiglia americana Perkins (che poi riceve un indennizzo di 2.000 dollari dallo Stato pontificio), la strage dei civili inermi di Perugia viene rapidamente conosciuta a livello internazionale.

Il 29 giugno è pubblicato dall’opposizione pontificia l’ordine che il colonnello Schmidt aveva ricevuto prima di partire dal Cavaliere Luigi Mazio,  Uditore generale militare, che era anche Commissario Sostituto del Ministro delle armi pontificio ( la cui carica era vacante), nel quale è scritto:«Il sottoscritto Commissario Sostituto Ministro dà incarico a V. E. (Vostra Eccellenza) di recuperare le Province alla Santità di N. S.,  sedotte da pochi faziosi, ed è perciò che Le raccomanda rigore… Do inoltre facoltà alla V. E. di  poter fare decapitare i rivoltati che si ritrovassero nelle case, non ché risparmiare la spesa al Governo (pontificio) e fare ricadere tanto il vitto che la spesa della presente spedizione (militare) alla provincia stessa».

Naturalmente l’emanazione dell’ordine dato da Mazio al colonnello Schmidt è smentito fermamente dal Governo pontificio, che lo definisce una “maligna invenzione”.  Però nella tradizione patriottica cittadina le stragi sono  considerate come “autorizzate” dal Papa Pio IX, il quale istituisce la medaglia “Benemeriti”, per la conquista di Perugia, assegnata al Colonnello Schmidt ed ai soldati.

Alla drammatica vicenda si sono ispirati il nostro poeta Giosuè Carducci, che scrive il sonetto Per le stragi di Perugia, ed il poeta statunitense John Greenleaf Whittier con la sua opera From Perugia.

Il 14 settembre 1860 entrano a Perugia le truppe piemontesi, ponendo fine al lungo dominio pontificio.

Nel 1898 la città di Perugia viene decorata con la Medaglia d’Oro come “benemerita del Risorgimento nazionale”.

Il 20 giugno 1909, nel 50° anniversario della strage dei civili perugini,  è inaugurato in città il Monumento in memoria dei caduti, opera dell’artista Giuseppe Fringuelli, docente all’Accademia di Belle Arti cittadina e massone.

In seguito, l’abitato compreso tra la Porta San Pietro e la Porta Romana, con i giardini del Frontone,  è rinominato “Borgo XX giugno”.

Author: redazione