La disputa sul Fanum Voltumnae riparte da Impruneta. Con Luigi Catena tra i relatori

di Maria Grazia Di Mario

Riparte da Impruneta (Firenze) la disputa sul Fanum Voltumnae. Sabato 14 Gennaio ore 16.30 – Paolo Codazzi, studioso di storia antica ed etruscologia, terrà una conferenza dal titolo La disputa sul Fanum Voltumnae relativa alla collocazione del Fanum, l’antico luogo sacro di riunioni annuali, religiose e politiche, dei rappresentanti delle maggiori città etrusche dell’Italia centrale.Una disputa  che vede grande parte del mondo accademico “contro” altrettanti  accademici o puri ricercatori, i cui studi andrebbero  esaminati senza prevenzioni. Tra i relatori un ruolo di rilievo lo avrà il maggiore conoscitore della storia degli etruschi nell’area di Bolsena, Luigi Catena, di San Lorenzo Nuovo (Vt) . L’incontro si terrà presso la Biblioteca comunale, piazza Buondelmonti, 19/20. Riportiamo un articolo di Luigi Catena inviato alla redazione di sabinamagazine, Luigi Catena si farà portavoce  degli studi e ricerche di altri studiosi, quali Angelo Timperi e Angelo Di Mario, Giovanni Feo, Alessandro Morandi e di studiosi locali come Marco Morucci. 

 

di Luigi Catena

Al posto del FANUM VOLTUMNAE DI ORVIETO, in LOCALITA’ CAMPO DELLA FIERA, UNA STRUTTURA “TERMALE” e NON IL LUOGO PIU’ SACRO DEL POPOLO ETRUSCO. Una ipotesi da prendere in considerazione

 

BREVE SINTESI DI COME IL MONDO ACCADEMICO UFFICIALIZZA SENZA PROVE CERTE LA IPOTETICA LOCALIZZAZIONE DEL FANUM A ORVIETO.

 “””…Etruscorum concilium ad fanum Voltumnae… (434 a.C.)
Livio, IV, 61.2
Orvieto occupa il sito di un antico insediamento identificato con Velzna (etrusco)-Volsinii (latino), uno dei centri della lega etrusca definito dallo storico romano Tito Livio Etruriae caput (10, 37, 5). La città, secondo quanto riferito dagli autori classici (Plinio, n.h. 2, 139; Valerio Massimo, 9, 1, ext. 2; Floro, epit. 1, 16, 21; Orosio, hist. 4, 5, 3), era ricca e potente. All’identificazione ed alla rilevanza di Velzna-Volsinii si connette anche il problema dell’ubicazione di uno dei complessi sacri più importanti d’Etruria: il Fanum Voltumnae, il santuario federale degli Etruschi, invano cercato sin dal XV secolo.

Le notizie sul luogo di culto si devono a Tito Livio che in passi inerenti episodi avvenuti fra il 434 ed il 389 a.C. (4, 23, 5; 5, 1, 3-7; 17, 6-10; 6, 2, 2; 25, 7-8; 61, 2) menziona riunioni (concilia omnis Etruriae) tenute al Fanum, ma senza mai darne l’ubicazione: la notorietà del santuario presso i Romani doveva essere tale da non richiederne l’esplicita indicazione geografica. Dallo storico siamo informati che i rappresentanti delle principali città etrusche (duodecim populi Etruriae) vi si riunivano periodicamente ed eleggevano un sacerdos supremo; alle assemblee partecipavano anche non Etruschi e in occasione delle celebrazioni religiose si svolgevano fiere e mercati, spettacoli teatrali e giochi solenni che era proibito interrompere. Il luogo doveva quindi disporre di grandi spazi per accogliere i delegati e per consentire lo svolgimento di manifestazioni di tipo diverso. Le decisioni prese al Fanum avevano certamente anche valenza politica, sappiamo ad esempio che le replicate richieste di Falisci e Capenati di andare in soccorso di Veio, minacciata da Roma, vennero respinte (Liv. 5, 17, 6). La divinità titolare del santuario era Voltumna/Vertumnus, che Varrone (l.l. 5, 46) definisce deus Etruriae princeps, documentata in etrusco come Veltune, da assimilare a Tinia, che rappresenta la figura più eminente del pantheon etrusco””””. Questa è la brevissima sintesi spiegata dal mondo accademico ufficiale etruscologi e archeologici che sostengono la tesi “ovietana”.
OSSERVAZIONI CRITICHE DALLE QUALI SI IPOTIZZA INVECE SEMPLICEMENTE L’ESISTENZA DI UN LUOGO TERMALE
Così come descrizione “sulla carta” non potrebbe suscitare nessun problema, anzi, chi non conosce il luogo potrebbe anche crederci e difendere tale “opinione”. Ma nel passaggio dello scritto ci sono delle informazioni simili a un vestito il quale deve stare a “pennello”al soggetto interessato. Di che cosa si tratta, esattamente del luogo che doveva ospitare un certo numero di cerimonie. Quindi come viene rimarcato nello scritto il luogo aveva una continua e assidua partecipazione non solo di tutta la casta sacerdotale, di tutti i lucumoni e il loro seguito composto da servi, guardie del corpo, e rappresentanti della loro lucumonia in parte i loro famigliari, ma anche del popolo Etrusco. Quindi si parla di centinaia di persone per singola rappresentazione ufficiale di ogni città-stato, erano in tutto “dodici” si arriva a migliaia di persone. In aggiunta a queste inoltre c’erano anche i rappresentanti delle altre città etrusche, oltre alle 12 città stato. Anche loro avevano una discreta partecipazione, anche se minore comunque si parla di oltre un migliaio di persone. Oltre a queste rappresentazioni istituzionali, c’era anche il popolo che partecipava alle manifestazioni sia religiose, civili e sportive. Quindi il luogo doveva avere un certo spazio per poter ospitare che cosa: strutture templari, strutture sportive per esercitare le diverse attività, strutture per poter ospitare trattenimenti teatrali, infine spazi idonei per ospitare mercati attinenti alle manifestazioni come commercio e il baratto dei prodotti artigianali, lavorazioni di oggetti di metallo per le diverse attività, utensili di terrecotte, tutti gli oggetti necessari per l’agricoltura, infine non da meno spazi per ospitare gli animali, cavalli, asini, bovini, ovini, suini, capre, oche, anatre, ecc. i quali tutti avevano bisogno di molta acqua necessaria per poter far esistere e far vivere un luogo sacro di tali dimensioni. Orvieto queste caratteristiche strutturali in località “Campo della Fiera” le ha avute? Tutta l’acqua “pulita” necessaria e indispensabile dov’è andata a finire? Oggi esiste una piccola sorgente di appena pochi litri al minuto e un corso d’acqua che raccoglie acqua piovana dalle colline dei monti Volsini e pochissima acqua sorgiva. L’orografia del luogo oggi ci indica un corso d’acqua chiamato “fosso del Montacchione,  soggetto a piene quando c’è molta pioggia, ma non è un corso d’acqua degno per soddisfare le esigenze idro-potabili. Anzi c’è da dire, tramite un’indagine geologica effettuata recentemente alla ipotetica sorgente di questo “FOSSO DEL MONTACCHIONE”, che questo corso portava acqua termale, proprio non adatta per il fabbisogno idrico del Fanum. Quindi la località che oggi viene indicata con “certezza” il luogo più sacro del popolo Etrusco (IGNORANDO STUDI ATTENDIBILI DI PERSONAGGI COME MORANDI/DI MARIO/TIMPERI/FEO ed altri che invece identificano Bolsena/Velzna quale luogo del Fanum), è completamente priva di risorse idriche necessarie al suo fabbisogno. Nella realtà di allora, nei periodi Etrusco e Romano, si potrebbe invece prendere in considerazione una ipotesi più attendibile e cioè che quel luogo non fosse altro che un luogo termale e tutte le strutture, anziché “templi”, essere edifici necessari ad ospitare tale attività!!!!

 

FANUM VOLTUMNAE di ANGELO DI MARIO (  i cui studi sono consultabili presso la Biblioteca Consorziale di Viterbo, riconosciuti dal Mibac/Regione Lazio/DGA)

articolo PUBBLICATO l’8-12-2006 

Il Fanum Voltumnae era il santuario federale degli Etruschi Vel-si-ni; Tito Livio ne parla ma non ne indica l’ubicazione; possiamo raccogliere solo pochi e insufficienti indizi generici: ci dice che vi si riuniva la LEGA delle dodici città, dove i ‘Principi degli Etruschi’ convenivano per partecipare a cerimonie religiose, per affrontare problemi politici…  

Nel tentativo di scoprire l’ubicazione del TEMPIO si sono prospettate varie ipotesi; alla fine qualcuno è giunto alla conclusione che si dovesse trovare presso Orvieto, considerato come fosse stata la città etrusca, nota con il nome di VELZNA, o VOLSINII in latino; si capisce subito che l’affermazione salta completamente l’assenza di ogni indicazione, in particolare di tipo geografico; ignora le MURA di BOLSNA, non ancora datate; trascura che dentro le MURA di VELZNA ad un tratto ci abitarono i Romani, e che la città era fornita persino di Teatro e molte altre pertinenze. Quindi, dopo la distruzione, ne fu riattivata l’abitabilità, e si provvide alla ricostruzione del Tempio antico, con uno più recente, di nuovo frequentato dai residenti, considerati ancora Etruschi, nel nome, anche perché il nucleo romano, indubbiamente doveva essere servito da un ricco numero di servitù di origine etrusca ormai declassata, innominabile; l’esistenza del NUOVO TEMPIO è ricordata dall’imperatore Costantino, proprio perché verso il 333 concesse agli Umbri di potersi servire di quello esistente a SPELLO, per continuare le loro pratiche religiose, SENZA andare ancora in quello riedificato dentro le Mura di Velzna, ossia dentro quelle Mura, od anche dentro Bolsena stessa, sotto un palazzo, sotto la Cattedrale; da identificare, se necessario; luoghi che gli esperti invece non vogliono ripercorrere, rivisitare; ma sfuggono, per correre sotto Orvieto a disotterrare una delle tante chiese dirute, riedificate su arcaici templi, rotolati poi sotto l’oblio degli anni; qua e là nei residui della storia dimenticata; scomparsi come a VELZNA delle MURA, ubicata presso i Monti VOLSINI.

Plinio nella Naturalis Historia (XXXIV, 16,34) parla di un numero enorme di statue predate, dopo la distruzione di Velzna; tante opere non potevano che trovarsi in un ambito ricchissimo; abitato dalla classe alta etrusca, lì residente, in un luogo tanto famoso ed importante; molte lasciate, esposte certamente in un tempio di natura così preziosa di valori religiosi e politici; ma Plinio ricorda anche la città, nominandola insieme con Tarquinia (nonnusquam, vero et albi, sicut in Tarquiniensi Anicianis lapicidinis circa lacum Volsiniensem… 36.168); IL LAGO DI VOLSINI, nomina, concetto che estende a proposito delle pietre fluttuanti (“… in Tarquiniensi lacu magno Italiae duae nemora circumferunt, nunc triquetram figuram edentes nunc rotundam complexu ventis impellentibus, quadratam numquam..” 2.209) (così leggo in “Bolsena e il suo Lago”, di Angelo Timperi e Irene Berlingò); il che significa solo che i loro territori, di Tarquinia e di Velzna, si incontravano nel Lago Volsiniese, ossia di Bolsena, non di Tarquinia, né tantomeno in territorio di Orvieto, ubicato oltre i Monti Volsini, perciò non apparteneva a quella città, ripetiamolo. La notizia tratta dal poeta Properzio (IV, 2, 3-4) che ipotizza l’origine volsiniese del dio Voltumna, non capisco come possa ricondursi ancora ad Orvieto, mai citato storicamente, per quell’epoca, con il suo nome; è sufficiente una sufficiente cognizione fonetica per individuare come, sia Volsiniese che Voltumna, le più comprensibili *VOL-tu-F-na e *FOL-thu-F-ne-se, non erano pronunciabili dagli Etruschi (o Tirseni/ Velsini), per la notissima ragione che costoro, gli Etruschi, non conoscevano ancora la O, quindi dobbiamo risalire ancora a *VEL-thu-F-na, ossia a VEL-che/ VEL-the, da intendere subito come ‘FUOCO’, e VEL-cha-n()s un chiaro, notissimo VUL-ca-n(u)s ‘quello di Velche/ del fuoco’; tutti derivati unicamente solo dal gr. SÉL-a-s’ ‘luce/ splendore’, ‘dio del SAL/ SEL/ SOL’ > FAL/ FEL > VAL/ VEL > AL/ EL ‘Luce/ Fuoco/ Sole’ (FOL > BOL, POL, VOL…), compresi unitariamente tutti gli altri suoi equivalenti, facilmente leggibili su M. Pallottino, Testimonia Linguae Etrusca; sono decine; altra informazione deviata, quella di Festo, il quale riferisce che nel tempio di VER-tu-M-no, l’equivalente di VOL-tu-M-na, diversa solo per la varianza L/R (VEL > VER), si poteva ammirare il Trionfatore, quel tale M. Flacco, che nel 264 a. C. si accampò forse vicino ad Orvieto, distrusse Volsinii, ma non Orvieto; quando mai questa fu distrutta e disabitata! Quali segni rimasti! Il predatore di numerose opere, e direi anche, senza sbagliami troppo, per distruggere ogni memoria, il cacciatore di reperti scovati tra le tombe distrutte; lasciandone solo qualcuna per i posteri, un po’ troppo curiosi, ignari della propria storia. Allora gli estensori dello spostamento semantico, e geografico, tanto caro a decine di ripetitori convinti, definibili omofanisti, concludono che se il Fanum Voltumnae era situato in Volsinii, magari tra Orvieto e Bolsena, allora dobbiamo considerarlo ubicato ai piedi di Orvieto! Salti mortali della logica tendenziosa.

L’attribuzione non si regge da nessuna parte: le Mura si trovano ancora e solo a Bolsena; lì dentro esisteva un enorme abitato; non poteva essere stato ammucchiato in fretta dai Romani vincitori, per ospitare poi quattro profughi, e tre protetti risparmiati, di cui, tra l’altro, non si trova nessuna testimonianza tra quelle Mura diroccate; lì dentro scomparvero gli Etruschi, perché i nomi recenti dei defunti, di cui ci parlano le iscrizioni, portano, dopo la distruzione, e rioccupazione del territorio, solo quelli di genti romane; quindi lì non vi abitarono più né gli Etruschi Velsinesi residenti, né tantomeno gli Etruschi scampati, o risparmiati, ‘trasferiti altrove’ (Zonara); impossibile spostamento che possa essere avvenuto dal loro Urbibentum, supponibile distrutto e disabitato per qualche secolo, solo per asserire che la popolazione fu sistemata tra quelle rotte mura di VELZNA > BOL-s(e)-na; e lì risiedettero prima di ritornare nella loro Urbi-/Urbe -Betum/Vecchia. Lasciata rotta e nuda sulla collina. Ma quando! E per quanto tempo”

Farebbero bene i Bolsenesi, dopo tante amnesie locali e periferiche, dopo innumerevoli predazioni, iniziate in grande stile nel 264 a. C, da un certo M. Fulvio Flacco, Romano, a svegliarsi; farebbero bene a riprendere in mano il loro territorio, dove è scritto il loro destino storico, che li riguarda; a pretendere una REVISIONE su tutti i punti indicati dalle ricerche precedenti; appena osservate; tralasciate; sottratte dalle illazioni infondate: ombrate da interessi privati; ricerche tutte intese a recuperare, in particolare, gli strati inferiori, esistenti, anche sotto la loro città, datando la nascita delle Mura, la morte delle Mura, la nascita dei reperti profondi; l’assenza dei reperti; la nascita degli insediamenti romani; la nascita della nuova morte della città romana e del rinato Tempio dedicato al dio *VEL-tu-F-ne, forse distrutto di nuovo nel 333 d. C. a seguito di quelle disposizioni dell’imperatore Costantino, dove si permetteva di evitare il tempio risorto di Volsinii, in favore di quello di Spello.  

Tutte queste date si trovano presso il recinto delle MURA dimenticate, sotto le fondamenta di Bolsena, nei dintorni, nel Lago di Bolsena (1, 2, 3, 5, 8,…x, y…; da “Bolsena e il suo lago”, citato; un bel libro).

Ad Orvieto e dintorni non esistono Mura, non testimonianze di bruciature; o assenze di abitanti, perché ‘trasferiti altrove’; esistono solo, senza pause, i reperti di Orvieto etrusca e i templi di origine etrusca, poi romana, infine cristiana; anche su ruderi sovrapposti; pratica non nuova, non riservata solo ad Orvieto.…. Se in quell’epoca nessuno la nominava, questa città, non significa che non esistesse; ma solo che non creava problemi; che apriva le porte ai prepotenti; insomma era un città conciliante, capace di non generare e quindi subire conflitti. Quanto al nome, quello suo, me ne sono occupato più volte; rimando ai miei articoli, qui posso riassumere che potesse individuarsi come UR-Bi-Be-n-tum, a partire da  *UR-Fj-Fe-n-tum > *UR-FFje-t-tum > OR-Vie-to…; ipotizzabile il greco ÓR-o-s e derivati, con il significato di ‘Monte/ Montano’; ma ancora meglio con UR > *(F)UR-F-s > UR-B-s ‘città’ * > UR-F-s > UR-F-t-n; qui un confronto plausibile ce lo offre il licio/ miliaco nella “Trilingue di Xanthos” con AR-n-na ‘città’, da BAR/ PAR > licio PAR-na ‘casa’, varianza *PAR-t-na > *PAR-N-na > (F)AR-N-na ‘abitazioni > città’; anche il greco PÓL-i-s (non sto qui a spiegarlo ancora) indica ‘case > città’; perciò non va esclusa questa soluzione, che io preferisco, intendendo *AR-Fi-Fe-n-ta > UR-Bi-Be-n-tum > *OR-Fje-t-to > OR-Vie-to (nt/ tn > tt > t) ‘cittadina’ ; come risulta dalle analisi su questi termini compiute nei miei numerosi lavori.

Orvieto non ha bisogno quindi di Velzna per riconoscersi grande ed importante nei secoli. Alla città basta la lunga e ricca sua storia ininterrotta nel tempo..

Orvieto è stata sempre una città notevole, tutti lo sanno; e deve aver sempre conservato la pratica dell’ospitalità, anziché quella devastante dell’opposizione, dell’intransigenza verso le altre città, conservandosi integra nelle complessità della propria storia etrusca, romana, italiana.

Angelo Di Mario                          http://www.etruschi-tirseni-velsini.it/docs/bolsena.htm

http://www.etruschi-tirseni-velsini.it/docs/Velzna%20e%20UrFieto.htm

 

 

    articolo di Maria Grazia Di Mario https://www.sabinamagazine.it/il-fanum-voltumnae-di-angelo-timperi/

del 20 febbraio 2021

Nel 2010 ANGELO TIMPERI (del quale ospitiamo la rubrica) ha pubblicato il “Fanum Voltumnae a Bolsena”, un dettagliato studio delle testimonianze e dei templi etruschi nella città di Bolsena; attestando così, con convincenti evidenze, che Bolsena fu l’etrusca Volsinii, il centro religioso e geografico (omphalos – ombelico) della confederazione etrusca. Lì era situato il maggiore tempio (fanum) delle dodici tribù tirreniche, consacrato alla principale divinità nazionale, Voltumna.

Il lavoro del dottor Timperi mostra chiaramente come, nonostante i tanti scavi e le ricognizioni, la vera storia di Bolsena sia stata completamente fraintesa e resa inverosimile, producendo una grave falsificazione della storia e delle origini dell’Italia antica.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Bolsena aveva a Poggio Moscini, specialmente nel V secolo a.C., una monumentale area sacra, organizzata secondo un progetto di straordinaria grandiosità architettonica, con almeno tre grandi santuari.

Compreso tra il tempio A, dedicato a Fuflunz e il C a Tinia e Aplu, spicca il tempio B in posizione centrale e dominante, eretto su di un basamento-terrazza largo oltre cento metri, che lo rendeva ben visibile da ogni parte del cratere.

Bolsena, Poggio Moscini, ricostruzione dell’area templare
Ed è questo tempio che, proprio per la sua monumentalità e per la sua particolare ubicazione sulla bocca del vulcano, con buone ragioni mi sento di attribuire al dio Voltumna”.

Uno studio, quello del Timperi, basato su concrete evidenze e su precisi riscontri archeologici che non possono essere ignorati, né sottovalutati o sbrigativamente messi da parte.

Nell’introduzione del suo libro, il dottor Timperi scrive:

“Nel titolo ho scritto ‘dovuto a Voltumna’, ma in realtà avrei dovuto aggiungere, quasi come una riparazione, ‘e a Bolsena e a quanti nel passato hanno compreso che Bolsena era la grande Velzna etrusca e ciò hanno continuato a credere e a sostenere con tenacia negli anni, in contrasto con coloro che non ammettono idee contrarie alle proprie opinioni’. Mi dispiace infatti di dover riferire che nonostante la grande quantità di dati archeologici e testimonianze epigrafiche, di sculture e di resti monumentali etruschi provenienti da Bolsena e dal suo territorio intorno al lago, sparsi nei musei statali e nelle collezioni private di mezzo mondo, ancora oggi molti etruscologi, anche di chiara fama, vittime forse di una specializzazione troppo chiusa, ripetono caparbiamente contro ogni evidenza archeologica che la città etrusca di Velzna è Orvieto e che Bolsena altro non sarebbe se non la riproposizione da parte dei pochi esuli scampati alla distruzione dell’antica città e risparmiati dai romani.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nel catalogo della recente mostra sugli etruschi tenutasi a Roma al palazzo delle esposizioni, 2008/09, nella mappa con i centri urbani a pagina 271, si arriva così a indicare Orvieto, oltre che con il nome di Velzna – già di per sé un’appropriazione indebita, visto che tale nome finora non è stato mai riconosciuto a Orvieto – anche con quello di Volsinii: Bolsena viene indicata solo come Volsinii Novi, con un attributo, “novi”, che non si riscontra in nessuna testimonianza archeologica o fonte storica. E’ un voler piegare a tutti i costi la realtà dei dati archeologici ad una convinzione precostituita, senza rispetto della verità storica, nonché del pubblico”.

Nella minuziosa ricostruzione storica e con un’attenta indagine archeologica dell’area di Poggio Moscini, l’altura sopra Bolsena dove si trova l’attuale parco archeologico, Timperi ricostruisce quella che era la principale area templare dell’etrusca Volsinii.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nel capitolo 10 dell’opera già citata, l’autore scrive:

“Tutta la propaggine occidentale della collina di Poggio Moscini, in definitiva una monumentale terrazza aperta sul lago, costituiva un’area sacra di eccezionale importanza, con il tempio di Fuflunz tempio A, a nord, al centro il tempio di Voltumna tempio B, a sud il tempio di Tinia/Aplus tempio C. Piena è la frontalità della prospettiva aperta verso il lago. La particolare composizione d’architettura sacra etrusca di Poggio Moscini, con il tempio più importante al centro di una vasta corte circondata sui lati dai lunghi portici, trova riscontro nei grandi santuari dell’Ellade e della Magna Grecia e come pure di riflesso nell’impianto dei più tardi templi di Giunone a Gabi e di Ercole a Tibur. In queste aree sacre, specie a partire nel V secolo a.C. nello spazio anteriore del tempio principale in asse con esso, sono presenti di norma un altare e il teatro per i sacri misteri”.

L’autore così conclude il suo lavoro: “Formulo la speranza che un giorno gli indizi da me raccolti e qui segnalati possano suscitare l’attenzione di altri studiosi, la curiosità e la voglia di conoscere meglio la storia etrusca, contribuendo a far ripartire la ricerca da parte di futuri archeologi delle importantissime testimonianze della Bolsena etrusca ancora celata al di sotto delle stratificazioni dell’insediamento abitativo romano. Chiudo infine con l’augurio che venga riconosciuta la reale importanza di Bolsena quale grande e antica città etrusca. In essa, tutta, va riconosciuto il fanum Voltumnae che è stato tanto inutilmente cercato altrove.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Bolsena aveva a Poggio Moscini, specialmente nel V secolo a.C., una monumentale area sacra, organizzata secondo un progetto di straordinaria grandiosità architettonica, con almeno tre grandi santuari. Compreso tra il tempio A, dedicato a Fuflunz e il C a Tinia e Aplu, spicca il tempio B in posizione centrale e dominante, eretto su di un basamento-terrazza largo oltre cento metri, che lo rendeva ben visibile da ogni parte del cratere. Ed è questo tempio che, proprio per la sua monumentalità e per la sua particolare ubicazione sulla bocca del vulcano, con buone ragioni mi sento di attribuire al dio Voltumna”.

Uno studio, quello del Timperi, basato su concrete evidenze e su precisi riscontri archeologici che non possono essere ignorati, né sottovalutati o sbrigativamente messi da parte.

 

tratto da TAGES

 

IL FANUM VOLTUMNAE A BOLSENA00_compressed

 

 

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Author: redazione