La poesia che nasce dallo stupore per le piccole cose in Tania Luciani

di Andrea Moiani

Per tutti noi la pandemia è stata come una lunga ombra che si è addensata nelle nostre vite e che ha provocato ferite, silenzi, solitudine. Ma non solo: ogni fase dell’emergenza sanitaria è stata anche occasione di ricerca di sé, di speranza, di riflessione. Un risultato naturale di questi tre elementi non può essere altro che la poesia. “Millimetri” di Tania Luciani, edito da “La Caravella editrice”, nasce proprio nell’arco di questo evento epocale che ha inevitabilmente segnato la vita di tutti noi. Per la scrittrice classe 1989 si tratta della sua seconda opera, avendo già pubblicato nel 2019 la raccolta “Luci ostinate”, edita anch’essa da “La Caravella editrice”.

«“Luci ostinate” raccoglie poesie scritte nell’arco di 10 anni e che non ho mai fatto leggere a nessuno: erano cose mie – ci spiega l’autrice – Il progetto di pubblicarle era nato quasi per caso, quando rileggendo le poesie si è ridisegnato un percorso che andava dai 20 anni (età dell’entusiasmo) ai 30 anni (l’età dell’inserimento nel mondo del lavoro) passando per la “crisi dei 25 anni”, dove subiamo gli standard e le pressioni imposte da una società sempre più competitiva e pretenziosa. È solo a 30 che ci si accetta per ciò che si è”.»

Sia “Luci ostinate” sia “Millimetri”, dunque, sono narrazioni di un percorso e di ciò che comportano. Lo dimostrano la divisione in capitoli, i cui nomi riportano il periodo preso in esame. «Le poesie sono tutte strettamente legate al periodo pandemico e alle sue evoluzioni: quelle di aprile e maggio 2020 dicono delle cose, quelle di maggio 2021 ne dicono altre. Di mezzo c’era stata l’estate con una certa distensione, poi nel secondo lockdown di inverno 2021 la pesantezza era ancora più forte perché sapevamo a cosa stavamo andando incontro.»

Nota di merito alla copertina, realizzata dalla mano dal giovanissimo Gianmarco Rossi, ex alunno di Tania Luciani – docente di Lingua e Letteratura italiana – quando insegnava al Liceo Midossi di Viterbo ed ora iscritto all’Accademia delle Belle Arti. «È una reinterpretazione della Creazione di Adamo ma messa in diagonale per una questione prospettica e rielaborata con un filo rosso che unisce le due mani che per cause di forza maggiore sono costrette al distanziamento. Il colore dello sfondo rimanda a quello della mascherina chirurgica. È una sua idea che ho apprezzato moltissimo: credo che Gianmarco (Rossi, ndr) sia destinato a grandi cose.»

 

 

Come credi nasca la poesia?

«Non c’è un vero e proprio standard. Penso che la poesia nasca dallo stupore delle piccole e delle grandi cose. Spesso mi hanno chiesto come si fa a fare poesia ai tempi di oggi, dato che quasi nessuno la legge e non vende più di tanto. Io credo molto nella poesia e sono convinta che sia uno stile che tornerà. In una società caotica e frenetica come quella di oggi è molto importante fermarsi e stupirsi delle piccole cose, di sé stessi e del mondo. Credo che faccia parte di noi: l’abbiamo nel momento in cui facciamo una riflessione. Non si tratta solo di figure retoriche. Da insegnante dico sempre ai miei studenti di non vivere la poesia come qualcosa di meccanico e tecnico dove si deve andare “a caccia” di figure retoriche. A volte si scrivono delle cose facendo ossimori senza rendersene conto perché quelle parole rispecchiavano il suo stadio d’animo. Oggi la poesia si è evoluta molto e questo ha avuto dei risvolti su un certo tipo di prosa».

 

E in te come nasce?

«Dipende. Le poesie di questa raccolta sono nate durante il lockdown, nella prima fase della pandemia. Però non parto da marzo: inizialmente non mi ero resa conto di quello che stava accadendo. All’epoca presi lo stare chiusa in casa come occasione per poter fare qualcosa ed è solo da aprile che ho iniziato a capire che stava succedendo qualcosa di importante. Iniziai quindi a farmi molte domande e a prendere consapevolezza di alcune cose. La poesia quindi nasce da un pensiero che faccio e che sento di mettere nero su bianco. Poi segue un momento di revisione in cui cerco parole più adatte e cerco di risistemare quello che voglio esprimere. Altre poesie, invece, vengono a braccio».

 

Ci sono stati episodi chiave che ti hanno portato a scrivere di più?

«Questo è stato uno dei periodi più intensi della mia vita, non so se per via della pandemia o se semplicemente dovesse andare così a prescindere da essa. Da questa esperienza del tempo bloccato e dei rapporti che si sono allontanati fisicamente (ma non emotivamente) ho imparato molte cose: ho fatto spazio ed ho imparato a catalogare il superfluo e a dedicare il giusto tempo e il giusto spazio alle cose».

 

Il lockdown ha saputo dare anche qualcosa di positivo? Da insegnante cosa hai notato nei tuoi alunni?

«Si, perché ci ha permesso di capire cosa ci è mancato una volta finito. Molti dei miei alunni, ad esempio, hanno ammesso di essersi riavvicinati con i propri genitori. Molti altri invece mi hanno detto di essere rimasti soli lontano da tutto e da tutti, di avere festeggiato il 18esimo compleanno a casa senza amici. In “Millimetri” parlo di come i 15 e 16 anni siano anni cruciali in cui ci si forma il carattere e si capisce di chi si è. Questo può avvenire semplicemente attraverso determinate esperienze come ad esempio il semplice parlare con un compagno di classe o incontrare in corridoio di chi si è innamorati. In questi due anni i ragazzi non sono potuti uscire, non hanno potuto fare sport, non hanno festeggiato i compleanni, non sono andati in discoteca e dal punto di vista scolastico (c’è da dirlo) hanno copiato tutto da internet. Questo può comportare che questa generazione di ragazzi non sa chi sia e che si ritrovino con più difficoltà a leggere e a scrivere. Il rischio è che questi ragazzi non riescano a raggiungere una propria consapevolezza perché ci si logora dentro».

 

C’è il rischio che la poesia venga “strumentalizzata”?

«Purtroppo la strumentalizzazione non riguarda solo la poesia: si fa molta fatica a comprendere qualsiasi testo, compreso quello giornalistico. La poesia è tornata molto in voga anche grazie ai social, ma spesso il suo utilizzo deriva da una ricerca superficiale effettuata su siti di aforismi che rischia di decontestualizzare una frase estrapolata da un componimento più grande o dalla poetica di chi l’ha scritta. Non disdegno totalmente questo rilancio della poesia attraverso i social, perché la lettura di un testo di un poeta può suscitare curiosità e può portare ad approfondirlo e a leggere altro di lui. L’importante in tutto ciò è che la poesia sopravviva e che si ridisegni in nuove forme».

 

Quali sono i poeti che consigli a chi si volesse approcciarsi alle tue poesie?

«Leggendo molta poesia ho molte ispirazioni. Tra i contemporanei ci sono Chandra Livia Candiani, Patrizia Cavalli e Mariangela Gualtieri ma anche Pierluigi Cappello. In generale mi ispiro molto alla poesia del Novecento ma apprezzo ovviamente anche i grandi classici come Dante e Petrarca. Poi tra gli intoccabili ci sono anche Leopardi e Montale».

 

Tania Luciani è nata a Roma il 27 novembre 1989 e insegna Lingua e Letteratura italiana al Liceo Gregorio da Catino di Poggio Mirteto. Nel 2013 ha pubblicato un racconto nella raccolta “Parole d’Italia, racconti brevi di nuovi e vecchi italiani”con la Casa Editrice Ponte Sisto e nel 2014 alcune poesie nella raccolta “Riflessi”, Pagine Edizioni. Si è classificata terza nell’edizione 2015 del Premio Arthè, Festival di Liberi sulla Carta, con il racconto “La leggerezza del pesce rosso”. Nel 2019 pubblica con La Caravella Editrice la sua raccolta poetica d’esordio “Luci ostinate”, che le vale la menzione di merito al 5° Premio Internazionale Salvatore Quasimodo. Nel suo profilo Instagram @ognicosaimmaginata recensisce libri, condivide consigli di lettura e collabora con autori emergenti.

 

 

 

 

Author: redazione