Il coraggio di coltivare in noi lo sguardo del buon Samaritano

 Il coraggio di coltivare in noi lo sguardo del buon Samaritano. E’ tempo.

Dalla enciclica “Fratelli tutti” di Papa Francesco emerge una denuncia, quella della cultura dello scarto, che si fa puntuale ed inequivocabile. Una cultura in cui  “….le persone non sono più sentite come un valore primario da rispettare e tutelare, specie se povere o disabili, se “non servono ancora” – come i nascituri –, o “non servono più” – come gli anziani ”.

Il tempo coralmente “patito”, a causa delle restrizioni da pandemia che in gran parte ovunque ancora si registrano, ci apre lo sguardo su vari scenari di quotidianità segnata da difficoltà subite da molta parte di persone che già vivono condizioni critiche di salute le quali, purtroppo, spesso si sono aggravate a causa delle carenze di strutture  logistiche, socio sanitarie e socio assistenziali.

Poi cosa pensare  di quanti anziani sono deceduti a causa del virus (quasi il 95% delle persone decedute erano sopra il 60 anni ) ? Quante solitudini per privazione della vicinanza dei propri cari, per mancanza di relazioni ed affetti di familiari o amici.  Quanto ci hanno turbato tante notizie di scenari di abbandoni! Il blocco drastico alle visite dei familiari ai ricoverati. Una inchiesta su quanto accaduto emerge ad esempio dal rapporto “Abbandonati” stilato, riguardo ad alcune delle regioni italiane nell’ambito di una ricerca a livello europeo, dalla organizzazione internazionale che si occupa di diritti umani Amnesty International che ha attinto a testimonianze ed a  vari dati forniti da fonti ufficiali evidenziando criticità sul piano della prevenzione, dei tempi di risposta , sulle carenze di dispositivi di protezione, carenze di figure professionali ecc.

Se dalla esperienza si impara, c’è speranza che il quadro generale vada migliorando.

A fronte di un quadro finora preoccupante, tuttavia , abbiamo letto, ascoltato dai media ed anche fatto esperienza diretta o indiretta, di  casi in cui le persone hanno cercato di reagire attrezzandosi per supplire a disfunzioni e soprattutto solitudini. Questo sì è confortante!

Abbiamo toccato con mano che la solidarietà, l’amicizia, gesti di amore e conforto sono balsamo per il cuore di chi soffre e fanno parte di ogni cura.  In molti casi se non fosse stato per la presenza del sostegno della risorsa famiglia, la condizione di tanti soggetti fragili sarebbe stata certamente aggravata in un contesto generale di disorientamento e paura.

Spazi di speranza si aprono tuttavia al nostro sguardo se ricerchiamo, pur tra le tante notizie negative che ci investono a valanga tutti i giorni dai mezzi di informazione e dai social, qualche racconto, testimonianza, progetti, idee e azioni positive realizzate da genitori per i propri figli invalidi, da qualche politico di buon senso, da un associazionismo sano, inclusivo e solidale.

Pensiamo ad esempio   al 2 aprile,  giorno di celebrazione della giornata mondiale sull’autismo che è una sindrome  che secondo una stima citata da Avvenire nel servizio sui “ diritti in gioco”  conta solo in Italia 603.170 persone le quali presentano un disturbo dello spettro autistico. Si legge anche che in Italia potrebbero essere più di 4.000 i nuovi casi ogni anno.

La Fondazione Sacra Famiglia ha dichiarato in una nota: ”Il lockdown e la chiusura forzata hanno modificato le routine e causato la perdita di punti di riferimento importanti portando al consolidamento di nuove consuetudini disadattive. Un supporto adeguato consente ai bambini più piccoli di non regredire nei comportamenti e nelle abilità precedentemente acquisite ed è fondamentale nella fascia tra i 10 e 15 anni, al fine di prevenire il ricorso a comportamenti disadattivi, anche aggressivi, in risposta al cambiamento delle abitudini e alla mancanza di relazioni sociali”.

Di contro conforta quanto dichiarato dalla   Senatrice avvocato Erika Stefani a capo del Ministero creato in piena pandemia (trattasi di un Ufficio della Presidenza del Consiglio del Ministero) con competenze trasversali che si occupa del coordinamento delle politiche per la disabilità,   la quale ha rassicurato in varie interviste, le famiglie con disabilità a carico, sul fondo di ben 100.000.000 ottenuto per progetti di inclusione, tra cui rientrerebbe anche una specifica parte per l’autismo. Vogliamo ben sperare che intoppi burocratici non rendano vano questo necessario sforzo.

Se da altre parti si riconosce il valore della famiglia come risorsa principale di questi ragazzi disabili la quale deve essere più sostenuta, integrata ed orientata, come pure ha dichiarato anche in recenti interviste la On. Cattolica Paola  Binetti, neuropsichiatra infantile, ispiratrice e relatrice  e firmataria di numerose leggi a sostegno della famiglia, dei minori, degli anziani e dei disabili gravi, sul territorio molte sono le esperienze di genitori che in questo periodo di pandemia e distanziamento, si sono ingegnati in proprio anche facendo rete, per supplire alle carenze delle istituzioni in questo periodo in particolare per poter sostenere i propri ragazzi affetti da autismo. Il caso per tutti ad esempio di un imprenditore di Napoli che ha rinunciato alla propria azienda per realizzare un centro di riabilitazione sportiva per il figlio ed altri ragazzi affetti dallo stesso disturbo.

Azionare risorse dalle parrocchie. Poiché esse, se viste come una sorta di sentinelle sui territori,  coprono tutta la Nazione con potenzialità  sconosciute se non  diventano tutte quante testimoni di fraternità, inclusione e solidarietà concreta. Non solo casi di eccellenze in termini di soccorso e solidarietà o di formazione ai principi di sana civicità. Luoghi dove il buon Samaritano, di cui parla in apertura della Fratelli tutti anche Papa Francesco, può ben svolgere la propria missione evangelica e civica. Quanta amarezza infatti li dove si legge di casi di cronaca di persone sole rinvenute decedute in casa da tempo! Dimenticate da tutti. Parrocchia come “Centro della periferia” come ha detto qualche buon Parroco di provincia. E grazie a quei Religiosi e Religiose che nonostante il pericolo di contagiarsi hanno aiutato tante persone. Come insegnava San Francesco e lo stesso Messia.

Leggiamo di queste realtà di soccorso e vicinanza concreta e non solo ideale ai malati nelle case dei più poveri,  di prossimità per i più giovani lasciati troppo soli, di fraternità che persone di buona volontà e associazioni si inventano per supplire a vuoti di gestione pubblica dei servizi. Queste buone pratiche dovrebbero meritare sui media maggiore visibilità per l’effetto  emulazione che possono beneficamente produrre e di incoraggiamento anche per altri. Non lasciare soli i disabili.

Poi gli anziani. Tante le morti degli anziani a causa del covid, lontani dalle famiglie, ricoverati in rsa o in case di cura o in ospedali. Molti di noi ne hanno fatto dolorosa esperienza.Facciamo si che si approntino le massime cure per loro  che sono la garanzia del futuro dei giovani. Abbiamo visto e letto delle tante  famiglie in missione, ad invocare o supplire d’improvviso alla mancanza di un sistema di prossimità integrale ed integrata per tanti sofferenti bisognosi dei cari e d’amore come affamati d’aria. Iniziative anche qui benemerite e commoventi di persone che hanno cercato  con modalità inconsuete, di far sentire ai propri cari ricoverati e necessariamente esiliati da casa, tutto l’affetto, il calore, l’amore possibile, affinche’ non pensassero di essere rimasti soli e abbandonati dai familiari. Chi non ricorda l’anziano che si recava sotto le finestre dell’ospedale in cui era ricoverata per covid sua moglie per suonare una serenata a lei teneramente dedicata.

Abbiamo imparato che è necessario ripensare il ruolo dei familiari nel contesto di cura del malato, sostenere il portatore di handicap che non ha più familiari che si facciano carico delle proprie fragilità. Bellissima la Sala degli abbracci messa in campo da una RSA di Castelfranco Veneto per consentire ai ricoverati di ricevere visite dai familiari in sicurezza. Iniziativa che rientra in un macroprogetto : ”psicologia dell’abitare: progetti per creare ambienti felici” con una interazione tra spazi ad alte caratteristiche rigenerative con  giardini sensoriali, pet terapy, una relazione tra architettura, assistenza, psicologia e natura per mettere in primo piano la componente emotiva e il benessere relazionale dell’ospite, come si può apprendere da un istruttivo e rassicurante reportage della rivista per l’età senior “50 e Più”.

E da ultimo, come cittadini partecipativi e pensanti, riconoscenza a quei sanitari  candidati per  l’alto riconoscimento di un Nobel  in ragione dei sacrifici sostenuti a costo della propria salute e vita per curare i ricoverati.

Però  chiediamo anche con forza e coraggio ai governanti di potenziare  la prevenzione, modelli di assistenza più umanizzanti e maggiori assunzioni di personale con specialistiche mancanti invece che ripiegarci su noi stessi  accettando passivamente che siano stabiliti i numeri chiusi per l’accesso a  facoltà universitarie importanti per la salute pubblica. Neppure  rassegniamoci  a veder partire per l’estero i nostri giovani laureati e specializzati per carenza di lavoro qui in Italia in casa propria.

In conclusione, rimbocchiamoci le maniche e difendiamo i nostri diritti come quelli del nostro prossimo che versa nel bisogno. Tutti nella stessa barca, i meno privilegiati….purtroppo! Ma remando insieme l’approdo sarà più veloce e felice.

rubrica Una luce nel cuore di Maria Laura Petrongari

 

Author: redazione