Il Camposanto Teutonico di Marco Bettoni Pojaghi

di Maria Grazia Di Mario

Un viaggio spirituale “davvero singolare” ci consiglia Marco Bettoni Pojaghi (docente e direttore dell’Istituto e Biblioteca Italo -Tedesca di Villa Torlonia), nel suo ultimo libro Il Camposanto Teutonico (edito da Pagine), scritto in collaborazione Cristina Cumbo, specializzata in Archeologia Cristiana. Fin dall’introduzione, proprio come per coloro che entrano dall’ingresso principale in via della Sagrestia (ricostruito tra il 1972 e il 1975 dall’architetto tedesco Elmar Hillebrand), siamo come catapultati nel grande quadrato del Campo Santo Teutonico di Roma, la cui terra (c’è chi lo sostiene, ma non ci sono prove al riguardo) proverrebbe direttamente dal Calvario. Un unicum nel mondo. Nel  Campo Santo Teutonico, considerato quale unico sepolcreto del Vaticano e come il più antico cimitero germanico di Roma, sono seppellite persone di origine austriaca, sudtirolese, svizzero-tedesca, liechtensteinese, lussemburghese, e belga di lingua tedesca, oltre a fiamminga e olandese, tra cui noti personaggi quali  Anton de Waal, primo Rettore del collegio (+ 1917), Sofia di Hohenlohe-Waldenburg-Bartenstein, principessa (+1836), Joseph Spithöver, promotore della cultura germanica a Roma durante il XIX secolo (+ 1870), Stefan Andrei, scrittore (+ 1970), Engelbert Kirschbaum, archeologo e studioso collaboratore al ritrovamento della tomba di san Pietro (+ 1970), Johann Martin von Wagner, archeologo e artista (+ 1858), Rolf Schott, storico dell’arte e studioso di Michelangelo (+1977), Joseph Anton Koch, pittore paesaggista (+ 1839). Il criterio per venirvi sepolti è essere di religione cattolica e di madrelingua tedesco o fiamminga, indipendentemente dalla nazionalità, e risiedere a Roma.

Il Cimitero è uno scrigno di pace immerso nel verde e nel passato in grado di ritagliare uno spazio atemporale in una grande città come Roma, dove i segni delle epoche sembrano cancellarsi a vicenda e dove, unito e anzi fuso alla voce della storia offerta dalle tombe di tanti personaggi e artisti, troviamo un vero e proprio giardino segreto di rarità botaniche; una visita che si può trasformare in una esperienza spirituale, ma anche in una passeggiata nella storia, purtroppo non ancora delineata chiaramente in quanto, spiega l’autore,  una ricostruzione precisa non è possibile dato che le parziali indagini archeologiche, che avrebbero potuto restituire importanti informazioni, non furono mai intraprese solo ai fini della ricerca, ma sempre indirizzate alla costruzione di edifici e condotte in un periodo compreso tra il 1873 e il 1906, per poi essere riprese tra gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, producendo una scarsa documentazione. A ciò si aggiunge che molti appunti e documenti sono ancora da esaminare, così come svariati resti archeologici considerati di complessa identificazione. Alcuni dei reperti mobili, relativi alle campagne di scavo, sono custoditi presso il Museo e il Lapidario del Campo Santo, oltre che murati e conservati all’interno dello stesso cimitero. Malgrado tutto, nella sua frammentarietà, il passato parla forte e chiaro, emergendo attraverso ricordi, memorie scritte e reperti custoditi da strati di terra e di tempo.

Il Campo Santo Teutonico riesce a mantenere intatto uno stretto legame con l’età più recente ma anche più arcaica, in particolare con i siti preromani e pagani (documenti certificano la preesistenza di un Tempio dedicato alla Dea Madre), con il cristianesimo delle origini, testimoniato dalla presenza di una parte del circo di Nerone all’interno del quale i cristiani venivano martirizzati e con alcune sepolture relative alla più vasta necropoli. In un’area limitata di terreno si succedette dunque “tanta archeologia”, compresi i segni tangibili legati alla presenza di una Schola (al tempo di Carlo Magno). E proprio la Schola sarebbe alla base, nell’alto Medioevo, della nascita dell’intero areale dell’odierno Campo Santo e degli spazi ad esso adiacenti. Sulla facciata nord, sotto un piccolo campanile, è collocata, non a caso, una grande immagine maiolicata di Carlo Magno, eseguita nel corso dell’Ottocento dal pittore Albert von Rohden, ma vi troviamo, a conferma, anche una iscrizione latina che proclama: Carolus Magnus me fundavit.

“La presenza di una Schola Francorum, nelle vicinanze della tomba di Pietro, viene menzionata per la prima volta nel 799, proprio dal Liber Pontificalis: vi sono citate anche altre scholae, come quella dei Frisoni, dei Sassoni e dei Longobardi. Queste scholae straniere che fioriscono a quel tempo, nel cuore della Roma altomedievale, sono strettamente interconnesse con l’enorme afflusso di pellegrini provenienti dal Nord, pellegrini che volgevano il loro sguardo denso di fede e amore al sacrario di Pietro e dei primi martiri cristiani, così come anche al completamento della basilica già nel IV secolo. Si tratta del formarsi di vere e proprie ‘arterie di flusso’ della comunità cristiana d’Oltralpe verso il centro della Cristianità e verso la sua Capitale – spiega nel libro l’autore  – Possiamo supporre, in tal modo, che le prime strutture legate alle varie forme di pellegrinaggio si siano stabilite proprio qui, nella zona immediatamente limitrofa alla tomba di Pietro: creando rifugi e stazioni di rifornimento per le comunità di pellegrini che vi affluivano e offrendo loro, anche in caso di morte, idonei luoghi di sepoltura. I cimiteri erano preferibilmente disposti nei pressi, o nelle immediate vicinanze dei ‘nuclei storici’ di pellegrinaggio, venerati dalle singole comunità straniere. L’area immediatamente circostante la basilica di S. Pietro potrà così divenire, nei secoli ed anche proprio grazie al legame con le sepolture, uno dei centri nevralgici dell’attività di tali menzionate scholae straniere a Roma”. Successivamente, nel 1446, sotto Eugenio IV, venne istituito in questo luogo un ospedale per donne povere la cui attività durò probabilmente fino a Niccolò V, pontefice che si occupò di rivoluzioni funzionali relative ad alcuni spazi in Vaticano.

Durante l’Anno Santo del 1450, da documenti, la chiesa di Santa Maria della Pietà e il Cimitero Teutonico risultano essere in cattivo stato e pertanto si rese necessario, in vista dell’anno giubilare, realizzare dei lavori di ristrutturazione e ricostruzione (fu stabilito un cambio d’uso).

Nel 1454 i membri di origine tedesca, facenti parte della curia romana, diedero dei fondi per una totale ricostruzione dell’area, garantendone il mantenimento nel corso dei secoli e facendo assumere alla struttura la forma attuale dal finire del secolo. Da Ospizio nazionale dei Franchi divenne Elemosineria papale e rimase tale almeno fino al 1624, quando poi Urbano VIII trasferì l’istituzione nel palazzo vaticano.

Nel 1597 venne fondata l'”Arciconfraternita di Nostra Signora” con sede presso il Cimitero Teutonico e col compito di amministrarlo. Nel 1876, non lontano dal luogo sacro, venne costruita una residenza per studenti di origine tedesca interessati ai campi di storia ecclesiastica e archeologia sacra. Nel 1888 vi venne aggiunta anche una biblioteca proveniente dalla Goerres Society, con 35.000 volumi.

Un sito importante ma sconosciuto al pubblico italiano che ignora la presenza di tanta bellezza e stratificazioni storiche al suo interno, eppure è stata la meta ideale di grandi pellegrinaggi dal Nord Europa fin dall’Alto Medioevo.

Nel volume, che nasce dalla esigenza di una ricognizione tutta italiana e non più lasciata nelle mani dei soliti interpreti tedeschi, la parte archeologica è affiancata da un originale excursus che racconta i vari periodi storici anche attraverso le biografie di artisti, scrittori, sacerdoti, archeologi e pittori qui sepolti.

Particolare curiosità rivelano le sepolture, che si trasformano in vere e proprie biografie di personaggi poco noti alle masse ma che hanno lasciato segni importanti, tra di esse ne menzioniamo solo alcune, quelle di: Engelbert Kirschbaum (1902-1970) la cui memoria è legata scoperta della tomba di Pietro, Hermine Speier (1898-1989), di religione ebraica, distintasi per essere stata la prima donna assunta dallo Stato Vaticano, Heinrich Maximilian Imhof, scultore svizzero lei cui opere sono visibili  nei principali musei di Berna, Atene, o Stoccarda, Othmar Brioschi, pittore e paesaggista, ultimo erede della tradizione scenografica e teatrale dell’Ottocento viennese.

Marco Bettoni Pojaghi propone dunque un volume ben orchestrato e documentato, la cui lettura non può prescindere però da una visita al Campo Santo Teutonico di Roma, dal momento che, come scrisse Friedrich Hölderlin, la memoria deve essere supportata dal sentimento e la storia recuperata con consapevolezza e perseveranza perché “in questo mondo ogni cosa sorge e tramonta, e l’uomo, nonostante la sua forza gigantesca, non riesce a trattenere nulla. Vidi, un giorno, un bambino tendere la mano per acchiappare la luna, ma il raggio proseguiva tranquillo il suo cammino. E noi siamo qui, lottiamo per trattenere il destino che via fugge”.

Author: redazione