di Maria Grazia Di Mario
“Uso urgente di tamponi per tutti gli operatori sanitari e dotazione di DPI adeguati, ancora prima di sottoporre a test l’intera cittadinanza del Lazio”, la richiesta viene da Roberto Chierchia, segretario Fp Cisl Lazio, per il quale il permanere di carenze sia nelle strutture pubbliche, ma soprattutto in quelle convenzionate e nelle RSA per anziani (carenze intese come deficienza di DPI adeguati, test e iniziative per la formazione del personale), sta rendendo gli operatori del comparto salute il principale veicolo di infezione anche all’interno degli stessi ospedali. A non favorire un decreto legge in base al quale il personale medico deve lavorare (spiega sempre Chierchia) fino a che non sono evidenti i sintomi della malattia da coronavirus.
Può spiegare meglio questo decreto legge?
“Nel decreto, datato 9 marzo 2020, si legge chiaramente:” 1. La disposizione di cui all’articolo 1, comma 2, lettera h), del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, non si applica agli operatori sanitari e a quelli dei servizi pubblici essenziali che vengono sottoposti a sorveglianza. I medesimi operatori sospendono l’attività nel caso di sintomatologia respiratoria, o esito positivo per COVID-19”, vuol dire che devono esercitare fino a che non hanno una sintomatologia e dovendo operare anche (eventualmente) da asintomatici possono diventare veicolo di infezione”.
Un decreto forse varato a causa della improvvisa necessità di personale.
“Certo, è uno dei provvedimenti adottati per scongiurare carenze in stato di emergenza, dato che sono croniche sia a livello nazionale che in particolare nella Regione Lazio, dove negli ultimi anni c’è stato un taglio enorme di organico e di strutture, e così si è deciso che gli operatori debbano proseguire nell’assistenza fino a che non hanno una manifesta patologia”.
Anche in assenza di DPI adeguati e tamponi?
“Di fatto ancora non sono disponibili. Stiamo lavorando intorno a questa grave problematica, sul tema è stato siglato un protocollo, nel 24 marzo scorso, con il Ministro della Salute, andando a prevedere all’interno di ogni singola regione dei comitati di zona che dovranno concertare e prevedere le norme di sicurezza da adottare”.
Siete molto attivi sui vari territori.
“Noi come CISL controlliamo che la Regione Lazio metta in atto tutte le procedure di salvaguardia previste dal Ministero della Salute e dallo stesso Presidente Conte, anche in base ad un Protocollo firmato un anno fa (con CGIL-CISL e UIL) sul quale c’è scritto chiaramente che gli operatori devono essere messi in condizione di avere una sicurezza massima nell’andare ad effettuare la loro azione di assistenza”.
E cosa prevede?
“Principalmente l’essere muniti dei giusti DPI (dispositivi di protezione) confacenti all’azione che si sta intraprendendo. Se io fornisco uno strumento non idoneo è come “andare a mani nude”. Per questo la nostra azione di stimolo è quotidiana. Anche se la situazione è in via di miglioramento, ci viene riferito che non ci sono ancora a sufficienza DPI per poter garantire all’intera popolazione protezione, ma la copertura non è nemmeno sufficiente per assicurare agli operatori sanitari una difesa completa. Insomma, la problematica è ancora in piedi e nei piccoli centri immagino sia ancora più complicata”.
Quale percentuale di operatori sanitari è dotata di DPI?
“Riguardo la sanità pubblica la copertura comincia ad essere più estesa ma spesso non viene garantita la qualità, cioè se il medico ha bisogno di una mascherina FPP3 non riesce ad esserne munito e magari riceve una FFP2, viceversa a chi dovrebbe essere dotato di una FFP2 se ne recapita una di carattere chirurgico, poi mancano in maniera elevata i camici idrorepellenti, importanti in quanto non permettono al virus di passare ed i calzari, non ve ne sono a sufficienza soprattutto per coloro che devono sanificare i luoghi che ospitano i positivi Covid, proprio per la sanificazione avere il calzare è una misura di sicurezza che non sempre si riesce a mettere in atto, noi riceviamo varie segnalazioni anche di carattere fotografico, immagini di operatori costretti ad utilizzare buste di plastica ed altro. Insomma, non abbiamo ancora ottenuto la completa sicurezza del lavoratore sanitario che, tra l’altro, dovrebbe essere il primo a venire protetto perché è una figura troppo importante per la nostra sopravvivenza. Se dovessimo continuare con i ritmi del contagio di questo primo periodo, in assenza di un sistema efficiente, la proiezione ci dice che non sarà più possibile avere a disposizione personale in misura adeguata perché o è in quarantena, o prima o poi si ammala e poi c’è anche il problema che riguarda gli ospedali perché in questo periodo sono moltiplicatori di contagi, su questo stiamo portando avanti una campagna molto accesa. In primis, anche in questo caso, stiamo chiedendo tamponi per tutti e che siano effettuati a più riprese (periodici), perché il personale medico potrebbe trasmettere il virus da asintomatico e questo fenomeno deve essere assolutamente frenato”.
E riguardo la sanità privata in convenzione e gli operatori che lavorano nelle case di riposo?
“Nel Lazio abbiamo una grande fetta di servizio pubblico che viene svolto da privati convenzionati con la Regione, la sanità privata ha un ruolo importantissimo. Sto parlando di un buon 40 % e per questo 40 % le informazioni prese non sono buone, abbiamo notizie di DPI carenti. La carenza di DPI (anche qualitativamente e non solo numericamente), è molto forte e segnalata dalle stesse strutture. Stiamo anche chiedendo che i DVR (Documento Valutazione Rischi sul Lavoro) siano aggiornati all’interno delle piccole aziende, così come prevede il Decreto Legislativo 81 del 2015, che ci sia una attenzione massima ai percorsi che devono essere messi in atto ed alla formazione dei dipendenti, per dare loro la possibilità di non venire infettati. Che poi va detto che non è nemmeno colpa della Regione il fatto di non riuscire a coprire un fabbisogno sanitario, per il momento sta cominciando ad andare incontro (con i contingenti che il servizio civile mette a disposizione giornalmente) alle esigenze di alcune grandi realtà, ma non potendo far fronte all’intera richiesta la gran parte delle strutture private accreditate, dove invece il problema è molto più grave, ne rimane sprovvista. Per le case di riposo stiamo invece chiedendo con forza di intervenire, le faccio un esempio, le riporto il caso del Nomentana Hospital dove sono stati trasferiti gli anziani di Nerola. E’ un esempio negativo di come l’intervento non sia stato organizzato adeguatamente, perché andare a scaricare pazienti Covid 19 in una struttura non preparata a farlo ha gravi conseguenze. L’isolamento del paziente, e tutte le necessarie procedure, devono essere effettuati in modo idoneo ed anche da parte di personale qualificato, è chiaro che in una fase di emergenza c’è la necessità di individuare strutture disponibili nell’ospitare degenti con questa tipologia, però noi avevamo chiesto, fin da subito, che questo tipo di attività dovesse essere effettuato con il supporto costante della Asl che, per il periodo necessario, dovrebbe affiancare e formare il personale al fine di contrastare il propagarsi dell’epidemia, cosa che invece non è avvenuta nel Nomentana Hospital, dove si sono infettati 10 dipendenti ed altri pazienti ricoverati per diverse patologie. I problemi sono variegati, ma nelle RSA in particolare l’attenzione deve essere più grande, non possono essere lasciati soli altrimenti diventano aree di moltiplicazione di contagio, aree rosse e questo fatto non consente di spengere al più presto questa pandemia, vanno forniti DPI adeguati, effettuati tamponi e formato il personale. Se non facciamo i tamponi non possiamo sapere quanti operatori possono essere asintomatici ma infettare, tra l’altro purtroppo con il decreto legge del 9 del marzo 2020 è stata sospesa, come già detto, la sorveglianza sanitaria”.
Concludendo la situazione nel pubblico è in via di miglioramento, nel privato meno.
“Nel pubblico le forniture stanno aumentando anche se la carenza di DPI e tamponi è ancora presente, stessa cosa non la possiamo dire per il privato. Di questi giorni la promessa che sarebbero in arrivo milioni di pezzi, ci auguriamo siano almeno confacenti agli interventi! Se mi dai una mascherina chirurgica, e devo andare ad assistere il paziente in un reparto Covid 19, mi infetto. L’assessore regionale ha detto che è in programma di sottoporre a tampone a tutti gli abitanti del Lazio, benissimo, ma se non interveniamo subito sul propagatore sia pubblico che privato (il medico, l’infermiere, il tecnico) il problema diventa grandissimo, tamponi per tutti gli operatori pubblici e privati “subito e periodicamente”, in modo che possano svolgere la loro azione in sicurezza, che non si ammalino e che soprattutto, tra di loro, gli asintomatici non trasmettano il virus”.